Architettura brutalista Italia: 20 progetti brutalisti
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Architettura brutalista Italia: 20 progetti brutalisti

Jul 03, 2023

Come ha già raccontato Domus, il brutalismo si sviluppa a partire dagli anni Cinquanta, epoca in cui la teoria architettonica stava riformulando il lessico del costruire per far fronte alle esigenze di una società ferita dalla guerra e pronta a ripartire. Il risultato è un'architettura che cerca di liberarsi dalle rigidità del Movimento Moderno, ridotta all'osso e spudoratamente antiedonistica, privilegiando l'etica rispetto all'estetica e caratterizzata da un schietto funzionalismo, struttura gerarchica e plasticità dei volumi. La firma estetica del brutalismo – per ragioni allo stesso tempo espressive e – è proprio il béton brut, il cemento a vista, che ritroviamo ad ogni latitudine e in ogni continente, nelle espressioni europee come l'Unité d'Habitation di Le Corbusier a Marsiglia e le formulazioni dell’area anglosassone, così come nelle sue diverse espressioni tropicali, sempre in dialogo con città e natura.

L’Italia, come sempre caso peculiare, più che la costituzione di un vero e proprio gruppo o movimento brutalista, testimonierebbe l’incrocio di diversi percorsi storici e di ricerca – radicale, postmoderno, organicista, indipendente – con ciò che, soprattutto oggi, è classificato e globalmente accettato come estetica brutalista, o l'integrazione di quelle componenti programmatiche sociali proprie dei progetti brutalisti dei loro tempi. Abbiamo quindi raccolto 20 di queste architetture – nonostante le loro differenze fondamentali – per esplorare la specificità italiana in questo campo: da opere istituzionali (Viganò, Castiglioni, Banca d'Italia a Catania, Spence, Sartogo, Albertini, D'Amore-Basile), agli edifici religiosi (Guacci, Arrighetti, Andrault-Parat), al terziario (Zanuso), agli interventi residenziali sia alla scala architettonica (Perugini, Berarducci, Graffi-Musmeci, Busiri Vici) che urbana (Vecchi, De Carlo, Aymonino-Rossi , Fiorentino, Celli-Tognon). Il fattore comune è, soprattutto nelle fasi iniziali, la convinzione nella possibilità di un cambiamento – nell’approccio progettuale, nella cultura e nella politica – basato sul diritto alla città e alla casa, nonché sull’idea di una società giusta e coesa. .

La naturale corrosione fisica della materia e il degrado antropico che hanno talvolta segnato alcune opere hanno contribuito a concretizzare nell’immaginario collettivo l’iconografia delle architetture brutaliste come “cadaveri insepolti” (parafrasando Ernesto Nathan Rogers), spesso utilizzati come capri espiatori per giustificare inadempimenti pubblici. politiche. A volte demolite, a volte abbandonate, a volte distorte, a volte additate come monito di un passato pesante come le masse di cui sono fatte, molte architetture brutaliste in Italia compongono tuttavia un ricco patrimonio storico e testimoniale che pone oggi una domanda ineludibile: cosa c'è di più brutale (in senso letterale), un'opera filologicamente brutalista nella forma e nei contenuti o di certe costruzioni contemporanee semplicistiche e anestetizzate, fatte di proliferazioni pseudo-vernacolari o speculative, che punteggiano le città italiane contemporanee e che certamente evitano ogni tentativo di cambiare il mondo attraverso architettura?